Un respiro metallico nella notte e la luce della cucina accesa. I fili dispersi per casa, la carta da modello abbandonata sul divano e gli spilli luccicanti e dispettosi come folletti.
“Sali sulla sedia”. Era quella la formula magica che avevo atteso per giorni e che sanciva l’inizio dei preparativi per il mio carnevale.
Tutto cominciava dal metro giallo di plastica numerato.
Il cuore rimbombava nella piccola cassa toracica, le gambe si muovevano scattanti e precipitose e la mente si preparava a ripercorrere lo schedario segreto delle mie principesse. Non avevo ancora scoperto che le favole non appartengono agli uomini e credevo fermamente che un giorno sarei riuscita a volare o a fare piccoli incantesimi con una bacchetta a forma di stella. Nonostante i braccioli nei mesi d’estate, sognavo di governare una nave di pirati e magari scoprire terre ignote persino alla maestra di geografia.
Salivo sulla sedia e cominciavo a trattenere il respiro.
“Resta dritta”. Certo, sarei stata immobile, mentre la mamma si muoveva intorno al mio corpo. Tirava il metro, lo accostava alle mie braccia, poi misurava la vita, il torace e appuntava con meticolosa precisione i numeri su un foglietto di carta, che puntualmente avremmo smarrito.
“Prendi il giornale e vedi che dobbiamo fare quest’anno”.
Scegliere non era facile, quel giornale di modelli conteneva tutto lo scibile del mondo dei bambini: fate, principesse, ballerine, frutti, fiori e piante. Avrei potuto essere qualsiasi cosa o personaggio.
Mia madre mi guardava e alzava le spalle. Poi iniziava a stendere la carta da modello sul tavolo e con un carboncino tirava linee: dritte, curve, spezzate e qualcuna tratteggiata. Io non capivo, mi aveva spiegato tante volte che quella carta sarebbe servita per tagliare la stoffa, ma tutto mi sembrava complicato e surreale allo stesso tempo. Ero convinta che si trattasse di carta magica, perché dopo qualche giorno da quella carta sbucava il mio vestito. Imbastito, certo, ma già reale.
Ricordo ancora l’odore della stoffa, la paura degli spilli sospesi tra fantasia e realtà, la faccia corrucciata della mia sarta personale mentre continuava a tirare e smontare le cuciture di sutura fino all’ultima notte disponibile. Il rumore della macchina da cucire, ritmico e ferroso, i fili del cotone appiccicati ai vestiti di mia madre, la carta da modello abbandonata sulle sedie, l’odore del raso, del tulle e dell’organza.
Tutto sembrava appartenere ad un’altra dimensione.
Il vestito sarebbe stato pronto per la festa di carnevale della scuola e la trasformazione si sarebbe compiuta. Quei pezzi di stoffa colorata avrebbero tracciato le rotte di un viaggio meraviglioso: con il tulle rosso e nero sarei riuscita a ballare il flamenco, con il raso giallo avrei raggiunto la Cina, terra lontana e sconosciuta, con le balze d’organza avrei danzato alzandomi sulle punte.
Il respiro della macchina da cucire, l’odore dei tessuti, i fili svolazzanti per casa. Su tutto le mani di mia madre, che tracciavano sulla carta da modello le rotte segrete del sogno e della fantasia.