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Giorno 9

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Sono nuovamente rinchiusa in una cartella digitale.

L’aria è pesante, odora di plastica e ferro; una luce intermittente altera le ore del giorno e le appiattisce confondendo il giorno alla notte.

Lei è qui. Sento il rumore delle sue mani sfiorare la tastiera.

La sostanza melmosa di questa dimensione opprime il mio respiro, ma non ci sono vie di fuga, la mia esistenza è ancorata a questa sequenza di memoria artificiale.

Oltre tutto questo non esisto.

Forse un giorno lei si occuperà di me, forse riuscirà a darmi un nome, un volto e una storia.

Forse un giorno sarò un personaggio.

Uno di quei personaggi che custodiscono storie importanti, capaci di raccontare frammenti incandescenti di esistenza, capaci di raccontare la vita.

Ma per ora sono uno schizzo, un insieme amorfo di idee.

Forse un giorno sarò un personaggio, uno di quei personaggi che ti restano attaccati alla pelle per giorni perché ti sei riconosciuto in essi.

Forse un giorno…

Per ora resto qui, attaccata ad un respiro artificiale e a dei giorni monotoni; accartocciata, imprigionata, appiccicata ad un post-it dimenticato.

Per ora resto qui, aspettando il mio nome e la mia storia.

X = donna

FINE

Giorno 5

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giorno 5

Non ho mai posseduto un corpo, soltanto brevi accenni di una fisicità imbastita da frasi di circostanza. Ci ha sempre raccontato che non le piace descriverci; dice che ognuno dovrebbe immaginarci come meglio crede. Peccato, sarebbe stato bello guardarsi attraverso i suoi occhi, riconoscersi in uno specchio d’acqua, e magari scoprire di essere un po’ simili a lei.

Fa uno strano effetto non possedere un corpo. Non so se sono giovane o vecchia, se ho i capelli lunghi o corti, non conosco il loro colore e quello dei miei occhi, della mia pelle, del mio sorriso.

È difficile vagare in una dimensione anomala, essendo poco più di una nebulosa asettica e incandescente, respirare e non distinguere l’alone del proprio calore e l’ombra del proprio corpo.

Mi sarebbe piaciuto scoprirmi, attraversare quella scarica violenta di frasi e aggettivi che avrebbe regalato consistenza a quello che sono. Ma lei ha scelto…

Eppure una volta ha provato a cucire il mio corpo. Sono riuscita a vederlo: era frantumato in tanti piccoli fogli di carta colorati sparsi sul pavimento della sua stanza. La musica, la cioccolata, la tastiera impazzita del computer, le sue urla e quei fogli di carta. Infinite possibilità si combinavano sul pavimento.

Occhi, nasi, capelli, gambe, colori, forme, particolari, anomalie. Lei li combinava con l’incanto della stregoneria e l’imprevedibilità della sua follia, incrociandoli con precisione chirurgica. Si fermava a guardare il risultato, la sua fronte si stropicciava in infinite rughe di dubbi e poi, urlando, disfaceva tutto, ricominciando.

Il mio corpo l’aveva delusa, ancora una volta.

Non ero come mi aveva immaginato. Ricominciava. Respirava, sceglieva, accostava, cuciva insieme e poi disfaceva, divertendosi forse come fa Dio nel momento più alto della sua potenza.

Ma il mio corpo non è mai stato creato. È un esperimento fallito.

Quei foglietti sono finiti in una scatola in fondo alla libreria e quella scatola alla fine è stata dimenticata.

Solo uno di quei foglietti è rimasto attaccato allo schermo del suo computer.

X = donna.

Sì, non possiedo un nome, sono solo x, un esperimento fallito. Ma so di essere una donna.