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Giorno 9

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Sono nuovamente rinchiusa in una cartella digitale.

L’aria è pesante, odora di plastica e ferro; una luce intermittente altera le ore del giorno e le appiattisce confondendo il giorno alla notte.

Lei è qui. Sento il rumore delle sue mani sfiorare la tastiera.

La sostanza melmosa di questa dimensione opprime il mio respiro, ma non ci sono vie di fuga, la mia esistenza è ancorata a questa sequenza di memoria artificiale.

Oltre tutto questo non esisto.

Forse un giorno lei si occuperà di me, forse riuscirà a darmi un nome, un volto e una storia.

Forse un giorno sarò un personaggio.

Uno di quei personaggi che custodiscono storie importanti, capaci di raccontare frammenti incandescenti di esistenza, capaci di raccontare la vita.

Ma per ora sono uno schizzo, un insieme amorfo di idee.

Forse un giorno sarò un personaggio, uno di quei personaggi che ti restano attaccati alla pelle per giorni perché ti sei riconosciuto in essi.

Forse un giorno…

Per ora resto qui, attaccata ad un respiro artificiale e a dei giorni monotoni; accartocciata, imprigionata, appiccicata ad un post-it dimenticato.

Per ora resto qui, aspettando il mio nome e la mia storia.

X = donna

FINE

Giorno 7

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schiena

Giorno 7

Sono scappata. Sono riuscita a sfidare la dimensione nella quale lentamente aveva lasciato che cominciasse la mia lenta agonia. Sono scappata prima di essere definitivamente cancellata.

Sono un esperimento fallito, sono un personaggio abortito, una storia soffocata.

Mi sarebbe tanto piaciuto essere, esistere, raccontare, ma nell’atto della mia creazione qualcosa è andato storto.

Eravamo una di fronte all’altra, le nostre esistenze si guardavano attraverso la lente deformante della scrittura. Lei aveva distillato gocce di se stessa nei vasi sanguigni del mio corpo di inchiostro e parole, lei faceva parte di me, così come io respiravo attraverso la sua pelle.

La sua scrittura era stata la mia genitrice.

Poi quel taglio improvviso, quella piccola anomalia che squarcia la storia.

È solo un attimo, l’attimo in cui qualcosa non sembra incastrarsi più, l’attimo in cui il filo che crea il ricamo sfugge sfilando il resto della trama.

Mi ha guardato, si è riconosciuta in me, nel riflesso della mia ombra, e ha scelto.

Sono rimasta sospesa in una dimensione digitale. Ansimavo alla ricerca di uno spiraglio di possibilità. Ho graffiato il foglio, urlato, implorato.

Ma nella sua mente mi stava ormai già raschiando via, come si fa con il battito del feto ancorato alle pareti dell’utero. Le due vite sincroniche battono insieme, poi una scioglie il legame e l’altra annaspando viene estirpata per sempre.

Sono un esperimento fallito, sono un personaggio abortito, una storia soffocata.

Giorno 4

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grigio 4 giorno

Tutto ha avuto un inizio. Anche io.

Era uno di quei giorni pesanti impastati di noia e sogni. Il giorno sfinito cadeva, rantolando contro i vetri sporchi di pioggia della finestra. Lei era arrabbiata e triste, i fogli invadevano la stanza pesanti come macigni accartocciati, la musica si strofinava contro le pareti di una casa vuota.

Stava per alzarsi e spegnere lo schermo del suo computer; scartò un cioccolatino, uno di quelli con la ciliegia all’interno e una scossa di liquore. L’idea sembrò tagliare l’aria. Il liquore graffiò il suo esofago, attaccandosi arroventato alle membrane dello stomaco vuoto.

Raggiunse la tastiera, si legò i capelli in una coda alta e cominciò a muovere le mani screpolate. Non ho mai sentito il rumore della vita che attraversa un corpo, ma credo che dovesse essere molto simile a quel ticchettio energico che cominciò ad infettare l’aria. Lei non riuscì ad alzare lo sguardo dallo schermo illuminato del computer fino a quando, stremata, non si fermò a guardare.

Ricordo la scossa di elettricità, l’aria plastica della ventola del computer, la luce asettica dello schermo. L’inchiostro nero digitale fendeva la pagina bianca mentre, lentamente, attraverso una doglia di bytes e algoritmi, dal nulla assoluto e inconsistente, io affioravo.

Percorrere il dolore più assoluto, devastante e profondo per raggiungere l’esalazione umana di un respiro. Effluvio o fetore di vita.

Lei mi osservò.

Fu in quel momento che i nostri sguardi forse si incrociarono per la prima volta, come due gocce di colore sulla tavolozza instabile di un pittore, due pigmenti ostili e contrari che in un vortice di energia provano a mischiarsi.

Strappata, imbrattata e incandescente, ero proprio lì di fronte a lei.

Giorno 2

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marrone giorno 2

Non riesco a capire dove sono, se sia giorno o notte.
Qui è tutto strano, ma penso di essere libera ormai. Non so cosa significhi questa parola, ma a lei pare che piacesse molto. La usava spesso, si ripeteva di dover essere libera e quando lo faceva saliva sulla sedia e cominciava a cantare a squarciagola. Non è molto intonata, forse non riesce a capire bene cosa siano le note, però a volte crea uno strano ritmo, è un ticchettio che pare la renda felice.
Mi ero affezionata a lei. Per un momento ho pensato che anche lei cominciasse a provare qualcosa per me. Fino a quando… Fino a qual brutto momento.
Ma ora sono scappata.
Ho cercato di capire dove sono ma tutto mi appare come un puzzle rotto. Riconosco i frantumi di qualcosa che avevo imparato a conoscere attraverso i racconti di lei, ma sembra tutto stravolto, come se un vento irrefrenabile avesse scosso le piccole caselle di colore e le avesse mischiate. Ho sentito che qualcuno continuava a ripetere “andrà tutto bene”, penso si riferisse al puzzle.
Qui non passa nessuno. Eppure mi era sembrato che dall’altra parte tutto fosse in continuo movimento, che loro fossero in continuo movimento. A volte cercavo di sbirciare da lontano, mi sembravano delle particelle impazzite orbitanti intorno ad una forza diabolica. Ora mi pare tacciano.
Devo cercare di capire, anche se non credo sia molto facile. Sono complicati.
Non riesco a vederla più, quindi penso di essere lontano dal nostro luogo.

Giorno 1

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nero

Stanotte sono scappata.

Non per coraggio, quello forse è uno di quei sentimenti liquidi e informi che qualcuno ha deciso non debba appartenermi.

Sono scappata e non so nemmeno come ci sia riuscita.

Stanotte pioveva, il computer era rimasto acceso e il rumore della ventola si confondeva ai respiri del cielo e a quelli di questa dimensione.

Non ho ben capito cosa sta succedendo fuori. Dal luogo in cui mi teneva nascosta, le cose non si percepiscono molto bene, appaiono distorte nella loro realtà. È arrivato qualcosa di molto strano da lontano e tutti hanno cominciato ad avere paura.

Penso avessero dimenticato la paura.

Penso avessero dimenticato un sacco di cose dall’altra parte.

Qualche giorno prima di fuggire, l’ho osservata. Lei aveva una mascherina appesa accanto alla scrivania e un paio di guanti blu.

Non veniva a trovarmi da mesi, penso mi avesse dimenticata.

Da giorni non andava a lavoro, era come se la sua realtà si fosse fermata.

Avranno deciso di riprendere fiato?

Non riesco a decifrare, è tutto confuso.

Però sono riuscita a scappare.

Non riesco a capire bene dove mi trovo ora, ma qui sono da sola, anche se uno strano schermo mi rimanda delle immagini.

Ci sono uomini e donne vestiti di bianco e verde, indossano maschere e guanti di plastica, fanno conti su conti e mi pare di aver capito che quei numeri siano persone.

É arrivato qualcosa di molto strano da lontano e li sta colpendo tutti. Dicono sia una guerra, ma dalle loro barricate il nemico è invisibile.

Sono strani, ne ho avuto la certezza quando lei è venuta a trovarmi la prima volta.

I suoi occhi brillavano, intorno c’era una musica assordante; poi ha cominciato a farmi il solletico, ma non mi ha mai fatto ridere.

Con lei è sempre stata una lotta, una dura lotta.

Cronache di un Natale di Provincia: un uomo, la sua donna e un carrello

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uomo-1Alberi ubriachi di addobbi natalizi, balconi sfavillanti stile Las Vegas, gare di vicinato combattute con folclore fino all’ultima lampadina utile attorcigliata al pezzo di intonaco più estremo.
Ebbene sì, per chi ancora non se ne fosse accorto, siamo ufficialmente in piena atmosfera natalizia.
Quel periodo dell’anno durante il quale l’adrenalina nascosta nel corpo trova valvole di sfogo per inondare la nostra vita tra cene lunghissime e gare di resistenza nell’aria asfissiante dei centri commerciali. Perché il periodo natalizio, ormai si sa, è una dura lotta di resistenza, una lotta di muscoli e nervi tenuti in tensione fino alla notte della vigilia.
Ed io, dopo ghirlande di parole dedicate all’universo femminile, per una volta, proverò a raccontarvi il mondo formato testosterone.
Ma vi siete mai fermati per un attimo a scrutare i volti martoriati degli uomini in questo periodo? Sono scomposizioni cubiste del miglior Picasso, rifacimenti dell’opera più importante di Piero Manzoni, avanguardie psichedeliche di prospettive artistiche.
Tutti in questo periodo cediamo al richiamo consumistico da ipermercato, tutti scendiamo a compromessi con lo spirito da portafoglio del Natale e tutti avvinghiamo quel carrello riempiendolo prima di aspettative e poi di inutili fiocchi colorati. Ed entrati nella bolgia di gente, tredicesime e sudore in movimento trovi loro: gli uomini. Li trovi bivaccati sulle panchine con lo sguardo perso nell’infinito intenti a fissare un punto lontano, li trovi appesi ai carrelli, privi di coscienza, vigilando come attenti cani da guardia, mentre le care mogliettine si perdono negli infiniti scaffali stracarichi di merce. Loro sono lì, soli, silenziosi, sconfitti da quel dovere coniugale che sicuramente il prete avrà letto in quella serie di articoli di quel lontano ormai passato giorno di festa, nel quale non avranno sposato solo una moglie ma anche una mina consumistica pronta ad esplodere.
Non amano i negozi, non amano la confusione, non sanno distinguere la differenza che esiste tra una maglietta malva e una viola, per loro è lo stesso colore, non sanno che il cotone può avere varie percentuali di elastan, vivono benissimo anche senza, EPPURE sono lì. Immobili, pronti ad intervenire in caso di bancarotta, fedeli a quel senso di appartenenza coniugale. Mentre il divano reclamava affetto, gli amici una birra e il cane una passeggiata.
E noi? Facciamo finta di non sentire, non ce ne frega niente della loro birretta, dei loro amici e del cane. Mentre loro aspettano attaccati ai carrelli, pronti a darci ragione, pronti ad assistere alla scelta del prossimo regalo… mentre il Natale incede…

Continua…

uomo-2

Un anno di noi!!!

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buon-compleannoOggi il blog Le Parole di Organza compie un anno!!!
Un anno pieno di scrittura ed emozioni, un anno di ricami d’inchiostro e pieghe dell’anima che hanno reso la mia vita piena di sfumature e di nuove, esilaranti possibilità.
La scrittura fa parte della mia vita, è cucita sotto la mia pelle e batte rumorosa e irruente a due passi del cuore, tingendo il mio sguardo di uragani e sensazioni.
Questo è stato un anno importante…la nascita di questo blog mi ha dato la possibila di farvi conoscere la mia scrittura e parte delle mie strampalate idee.
Oggi è giorno di festa.
Ringrazio di cuore le persone che mi hanno accompagnato in questa nuova fantastica avventura:
Emmanuela che ha fatto materialmente nascere questo blog e Francesco il mio insostituibile correttore di bozze, senza il quale nulla nella mia vita sarebbe mai possibile.