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Giorno 8

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Giorno 8

Il risveglio è uno strano momento.

Tutto sembra essere avvolto da una coltre spessa di possibilità o di ombre. Il corpo tace come tutto il resto, impietrito in una strana sensazione di torpore così simile alla morte.

Strani formicolii percorrono i nervi rilassati e assuefatti dalla lunga notte di buio e di silenzio, attraversati da scosse di ossigeno silenziose.

Il risveglio è uno strano momento. Un attimo lunghissimo di equilibrio in cui stentiamo a ricordare, in cui proviamo a riconoscerci e a riconoscere il nostro corpo e la sua storia.

Mi sono risvegliata e la mia fuga era finita. Forse non mi sono mai mossa da dov’ero, forse ho solo dormito, attraversando quella strana poltiglia notturna fatta di sogni e stelle.

Forse è stato solo un déjà-vu, un fenomeno di alterazione dei ricordi, una di quelle cornici oniriche che apriamo durante la notte per spiare la nostra vita, non avendo abbastanza coraggio per farlo durante il giorno.

Mi sono spiata.

Forse viviamo solo la proiezione di un qualcosa di sfuggente che si consuma da qualche altra parte. Tutti siamo personaggi. Tutti componiamo e disfiamo storie come fossero sogni e come tali li addentiamo, li assaporiamo, permettiamo che essi ci illudano, prima di lasciarli scivolare e fuggire.

Siamo storie, le nostre, quelle degli altri, quelle che leggiamo.

Il flusso narrativo di una vita incandescente ci attraversa o ci lascia cadere su ripide scogliere dalle quali restiamo acquattati come predatori pronti a sbranare le storie degli altri. Perché è proprio quello che ci rende più vitali: vivere le storie degli altri.

Il risveglio è uno strano momento; la vita si confonde, si insinua nei tranelli più feroci della mente e lascia che essa ne venga assuefatta.

Il risveglio è un momento di morte.

Avventura al cinema

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Siamo equilibri biologicamente diversi, siamo il risultato strampalato e schizofrenico di una malefica roulette russa, frutto di una superba combinazione di possibilità.

E quale migliore occasione per rendersi conto della diversificazione del genere umano, se non in una delle tante e apparentemente tranquille serate al cinema?

Calmo mercoledì sera. Epidermica felicità di chi ha avuto lo sconto sul costo del biglietto per la fedeltà dimostrata, nel corso degli anni, alle mitiche merendine Kinder che, da qualche tempo, premiano finalmente il tuo incondizionato amore per il cioccolato.

Sala semivuota, tipica atmosfera da giorno feriale. Comitive di sessantenni appartati nella penombra dell’ultima fila, alle prese con strane posizioni yoga nella disperata ricerca dell’inclinazione da divano casalingo; signore profumatissime e super griffate, quasi come fosse la prima della scala.

Breve carrellata di trailler e poi eccolo il tuo film ha inizio.

Titolo del film Lasciati andare e, cari i miei lettori, mai titolo fu più profetico di questo.

Alla mia sinistra, oltre il mio fidanzato famiglia brindisina: mamma, papà, figli, compari e comari di matrimonio, cresime e battesimi. Il loro kit di sopravvivenza prevedeva popcorn, patatine, bibite gassate, merendine e rutto libero.

Alla mia destra un uomo e una donna di provenienza, età e rapporto di parentela non identificati. Cappotto in renna con pelliccia stile igloo, stivali in pelle con laccetto intrecciato, sciarpa cappello e guanti nemmeno fossero al polo nord.

Lasciati andare per chi ancora non lo avesse visto, è un’esilarante commedia nella quale Toni Servillo veste i panni di uno psicanalista alle prese con una stravagante personal trainer spagnola (una bomba sexy tonificata con un sensualissimo accento iberico), ingaggiata per risolvere i suoi problemi con la bilancia. Tra un matrimonio in stand-by e una pancia da sgonfiare, la regia di Francesco Amato ci catapulta in una piacevolissima avventura cittadina.

Ora provate ad immaginare la serie di sketch che possono nascere tra un pacatissimo psicoanalista intellettuale ed una sciroccata personal trainer perennemente nei guai. E provate ad immaginare cosa può accadere nella sala quando alla tua sinistra una ciurma familiare è completamente in balia del riso. Telecronaca delle scene salienti, ripetizione cronometrata delle battute più comiche, commenti di ogni genere sulle chiappe sode inquadrate in primo piano, un maremoto di popcorn e risate che attraversano la barriera del suono e della tua piccola poltroncina.

Alla tua destra invece una situazione di calma marmorea. Nessuna emozione, nessun tentativo di inarcare i muscoli inferiori del viso, nessuna risata, solo due facce lunghe e corrucciate. Sguardo teso, muscoli atrofizzati e, forse, il rimpianto dei cinque euro del biglietto.

Intervallo, palla al centro.

Destra e sinistra, sorrisi rumorosi e facce pietrificate, voglia di stare insieme e profonde solitudini la varietà del nostro essere, la diversità dei nostri sguardi, dei nostri sorrisi, dei nostri modi di interagire con la realtà… La meravigliosa varietà del genere umano.

P.S. Film assolutamente da vedere!!!