Ricami d’Inchiostro recensisce Una Stanza Tutta per Sé di Virginia Woolf

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virginia

Un capolavoro.
Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf è un’opera sacra per l’emancipazione femminile.
Viene scritto nell’Ottobre del 1928 in occasione di due conferenze sul tema “Le donne e il romanzo” tenute dall’autrice inglese presso l’università di Cambridge.
La sensazione che questo libro lascia è quella forte di una bruciatura profonda sull’epidermide sociale e letteraria di ogni donna.
La Woolf, attraverso i tempi di una narrazione romanzata nella quale il saggio cede il passo al racconto, ripercorre il rapporto donna-scrittura nella storia degli ultimi secoli, denunciando con toni forti l’assenza di scrittrici nella letteratura.
Turbolenti sono gli interrogativi dell’autrice: “Perché gli uomini bevono vino e le donne acqua? Perché un sesso è così prospero e l’altro così povero? Quali sono le condizioni necessarie di un’opera d’arte? Come poteva una donna dedicarsi alla scrittura – si chiede la Woolf – se non possedendo una stanza tutta per sé e cinquecento sterline di rendita annua?” stanza
Le sue conclusioni sono straordinariamente lucide e legate ad un’attenta analisi sociale che riconducono l’assenza della donna nella letteratura alla causa di una mancata emancipazione. Il passaggio da personaggi letterari a scrittori comincia proprio nel momento in cui riescono ad ottenere la stanza, metafora di un ruolo e di un peso sociale diverso.
L’immagine della stanza riemerge con insistenza nel testo: la stanza prigione della donna oggetto umiliata dal potere maschile, la stanza della borghesia del primo Ottocento in cui Jane Austen comincia a scrivere i suoi romanzi, la stanza prigione che lentamente diviene rivalsa.
Brucia la metafora della Woolf e spinge le donne verso l’emancipazione.
Un capolavoro da passare a memoria e da recitare sui grani di un rosario quotidiano, perché è un testo ancora attuale. Ancora terribilmente attuale.

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