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Non regalateci mimosa!!!

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donne equo

 

Non regalateci mimosa.

Non scriveteci inutili messaggi, noi non lo facciamo mai per celebrare il vostro testosterone.

Non dedicateci canzoni, la musica dei vostri silenzi è già abbastanza assordante.

E non mandateci scatole di cioccolatini, non siamo addestrate e non ci servono zuccherini per essere felici.

Dimenticate per un istante il sesso che la natura ha cucito sul nostro corpo e cominciate a lottare con noi contro la disparità di genere, che ogni giorno non celebra la nostra natura ma la ferisce, sminuendola. Come?

Ogni volta che il nostro viene definito sesso debole!
Avete mai provato a far nascere una nuova vita? Avete mai provato la sensazione di essere dilaniati da un dolore pulsante all’interno del vostro corpo che ogni mese per alcuni giorni vi ricorda di essere donna e lo fa attraverso la distruzione e rigenerazione di un pezzo del vostro corpo?
Saremo anche il sesso debole, ma ho visto uomini sbiancare dinanzi ad un taglietto superficiale sulla loro pelle.

Letteratura femminile, editoria femminile, scrittura femminile.
Avete mai sentito parlare di letteratura maschile? Editoria maschile? Scrittura maschile?
Usiamo la stessa lingua e le stesse regole grammaticali e allora perché usare questa stupida quanto inutile differenza?

Auguri e figli maschi!!!!
Stiamo scherzando??? Usiamo ancora augurare il meglio a qualcuno con una simile quanto ignobile frase? Perché? Avere figlie femmine non è la stessa grandiosa benedizione?

Ah, vi prego, cercate di dimenticare le quote rosa! Sono uno zuccherino amaro che la politica, con la sua ossessiva ricerca di consenso, ha destinato a noi. Noi vogliamo essere votate in completa libertà e non perché alcuni uomini hanno deciso di destinarci un paio di seggi!
Io voglio una Presidentessa del Consiglio donna e voglio una Presidentessa della Repubblica donna. E voglio che la mia lingua usi il genere femminile per indicare la loro professione!!!

Concludo mutuando le parole della mia amica Maristella, che ha lasciato questo commento sul blog. Nella sua riflessione tutta la forza e il coraggio della nostra essenza:

“Anche nella malattia c’è discriminazione di genere un pink ribbon (odiatissimo.. e creato da donne per uomini e donne stupide) non ha eguali nelle patologie maschili che so..il cancro alla prostata mica è cosi sputtanato, svenduto, deriso commercializzato come i carcinomi al seno si siamo donne ..oltre le gambe c’è di piu (????)”

Vi prego, dimenticate questa inutile ricorrenza. Copriteci di dignità e di diritti, ogni giorno e in tutti i luoghi sociali nei quali ci incontrate!

Ah, dimenticavo, smettete di avere paura di noi!

Giornata contro la violenza sulle donne

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Giornata-mondiale-contro-la-violenza-sulle-donne
GIORNATA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE…
Come adoriamo i paroloni messi in fila uno dietro l’altro a creare risonanze ed echi di rumore!
Siamo un popolo che ama celebrare, stilare dati e statistiche, ricordando, contando, riducendo a numero le donne che hanno subito un atto di violenza.
25 Novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne, istituita dall’Onu nel 1999;data scelta a ricordo di un brutale assassinio di tre sorelle domenicane uccise e buttate in un burrone. Certo, una giornata dedicata a sensibilizzare e a diffondere informazioni riguardanti la dura lotta quotidiana dell’essere donna.
Ma abbiamo davvero bisogno di giornate che ci ricordino i nostri caduti in guerra, in una guerra cruenta e infinita che combattiamo ogni giorno per la difesa del nostro diritto all’uguaglianza? Ci uccidono, ci picchiano e ci massacrano perché siamo vittime di un sistema che non ci garantisce gli stessi diritti degli uomini. Ci massacrano nelle nostre case, è vero, spesso i nostri mariti ci picchiano riducendoci ad un cumulo di lividi; lo fanno per ignoranza, per disadattamento, per problemi psichici legati al proprio equilibrio mentale… Ma la società in cui viviamo, che tanto ci celebra in queste giornate, non ci tratta allo stesso modo? Barbablù-def
Ci picchia ogni volta che durante un colloquio di lavoro ci chiede se intendiamo nei prossimi anni concepire una vita, o se stiamo progettando un matrimonio, o se siamo disposte a fare doppi, tripli turni di lavoro per preservare il nostro posto. Allora la violenza non è solo quella che si consuma in un rapporto uno ad uno, ma forse la violenza che subiamo nel nostro microcosmo domestico è solo il riflesso di un problema più grande, di una società, di una nazione che ha ancora il coraggio di parlare di quota rosa da garantire come uno zuccherino da dare agli stolti.
Intanto, secondo i dati pubblicati dall’Onu, continuiamo ad essere trattate in modo diverso in ambito lavorativo percependo dal 70% al 90% in meno rispetto alla retribuzione maschile e restando maggiormente disoccupate rispetto agli uomini.
Vorrei ottenere risultati sociali senza che mi fosse ricordato di avere un utero o due ovaie;so già di essere una perfetta creazione divina capace di incubare la vita.
Allora la violenza contro di noi finirà solo quando riconoscerete e preserverete la nostra uguaglianza.

“Per i francesi il mare è una donna.
E anche per me. Solo una donna può essere così mutevole, solo una donna può essere
attraversata nelle sue membra dalle
tempeste e poi accogliere il bacio del sole,
ritornando ad essere bella.
Solo una donna è capace di destreggiare
le maree e di sedurre la luna.”

Ricami D’Inchiostro recensisce La vita in Generale di Tito Faraci

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1434797706_11406222_974490389236283_2944028882444042569_o– Una città vorace, incomprensibile, affaristica: Milano
– un esercito forte e invisibile di anime dimenticate
– un capo con una lunga storia alle spalle: il Generale
sono questi gli ingredienti reattivi di La vita in generale, una bella favola moderna creata dalla penna di Tito Faraci e pubblicata per Feltrinelli.
Romanzo spietato e poetico che intreccia nella sua trama il destino di un gruppo di barboni, capitanati dal Generale, alla storia di Rita, giovane imprenditrice sull’orlo del fallimento. L’autore ci accompagna sui bordi di una realtà parallela, dove la vita si vive oltre il limite del visibile, dove gli equilibri sono instabili e il cibo una conquista quotidiana. Tutto sembra consumarsi al di là di una fragile pellicola trasparente che esclude e allontana, proteggendo gli occhi di chi non ha toccato il fondo dell’inferno, di chi non può capire, perché come dice il Generale:

“Per rinascere, bisogna prima morire. E io sono stato un uomo morto. So cosa significa perdere una vita”

Sono proprio queste parole che racchiudono l’incanto della storia, che ci fa attraversare con elegante maestria la vita di Mario Castelli, imprenditore di successo e protagonista di questa discesa agli inferi durante la quale ha perso persino la sua identità, diventando per tutti Il Generale. La favola scorre pagina dopo pagina: le principesse sono donne fasciate di stracci raccolti per strada; le streghe sono i grandi palazzoni di cemento che risplendono attraverso incantesimi mossi dal denaro e gli eroi sono squattrinati barboni. Ed è proprio grazie ai loro occhi che la realtà si deforma, si scompone, riacquistando le sembianze mostruose di un’entità mossa esclusivamente dal denaro, che maciulla e distrugge le vite di ognuno di noi, incatenandoci ad una dipendenza che ci rende schiavi.
Ma proprio come una favola l’eroe alla fine vince la sua battaglia e ci regala il suo trionfo, insegnandoci che l’amicizia e la lealtà rappresentano la nostra vera ricchezza.
Assolutamente da leggere!!!

#socialbookday

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Oggi Libreriamo la piazza digitale per chi ama i libri ha lanciato un hashtag per promuovere la lettura e il mondo della scrittura. #socialbookday un intera giornata dedicata ai libri, durante la quale gli utenti dei social potranno postare le loro foto di libri accompagnati da un breve commento.
Ecco il mio scatto postato sui social. #socialbookday
Rappresenta un legame profondo che risale alla mia adolescenza, quando ho cominciato a leggere i libri di Oriana Fallaci. Oggi ho peccato un pò di superbia, forse ,volendo accostare il suo nome al mio, ma volevo celebrarla ed esprimerle il mio grazie più grande. Da lei ho imparato l’orgoglio di essere donna, ho imparato a credere nella forza della scrittura e soprattutto ad avere coraggio nonostante tutto.
La sua caparbietà mi ha insegnato a credere ai sogni e soprattutto al lavoro e all’intelligenza che permettono di realizzarli.A lei ho dedicato questa giornata, così come a lei è dedicato il nome della protagonista del mio primo lavoro. Penelope rappresenta la forza di tutte le donne che combattono ogni giorno per vincere la nostra guerra, fatta ancora di discriminazione e di violenza. Rappresenta la tenacia nel perseguire i propri sogni e la determinazione nell’attuarli nonostante la società ci faccia pagare ancora il prezzo troppo caro di essere genitrici.

Buon #socialbookday a tutti.

#iosonoPenelope!!!

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bimba ginbocchia#IosonoPenelope si lancia nel mare tempestoso del web e prova a diventare un urlo di speranza tutto al femminile che vuole unire, fortificandolo, il coraggio delle donne.

#IosonoPenelope nasce dal nome della protagonista di una storia di coraggio e cicatrici, di sfide, battaglie e vittorie. Nasce dalla voglia di ,ivalsa delle donne che troppo spesso soffrono in silenzio imparando ad ingoiare il dolore per fortificarsi durante ogni lacerazione del corpo e dell’anima. Si, ci laceriamo ogni volta che qualcuno offende la nostra libertà, i nostri sogni, le nostre speranze. Ogni volta che il tempo si prende gioco di noi, imponendoci di rinviare a domani quello che vorremmo fare oggi, ora, adesso. Penelope risponde alla voglia di raccontarsi e di condividere le proprie storie, nasce dalla voglia di tessere una tela comune di solidarietà che possa unirci in un legame virtuale di forza e coraggio. Sulla nostra tela, se vorrete, ricameremo le nostre sconfitte, i nostri dubbi e le nostre straordinarie vittorie! Penelope c’è ed è pronta ad essere in ognuna di noi.

#IosonoPenelope !!!

Ci hanno rubato tutti i nostri sogni

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ARLECCHINOmediadefQualche giorno fa mi risuonava una frase nella mente: “Ci hanno rubato tutti i nostri sogni”.
Le parole si confondevano tra i pensieri melmosi, impastandosi al sudore della pelle, inumidita da questa ondata di caldo asfissiante. “Ci hanno rubato tutti i nostri sogni” continuavo a ripetermi, mentre il cuore si ibernava in uno stato di glaciale tristezza. Perché questa frase include innumerevoli significati, include tutte le sconfitte di una generazione di trentenni precari, di laureati che tirano a campare, di gente che si è arresa perché ormai era l’unica cosa da fare. Abbiamo studiato, abbiamo sacrificato un pezzo della nostra vita per cercare di avere un futuro migliore, abbiamo rincorso la libertà desiderandola come un’amante provocante e bella, e poi siamo caduti in una palude di precariato dalla quale non riusciamo più a tirarci fuori. Il nostro paese e le sue leggi hanno cancellato il futuro, i sogni e le speranze di migliaia di giovani italiani. Perché ogni volta che firmiamo un contratto a tempo determinato con un salario da fame perdiamo un pezzo dei nostri sogni e ogni volta che restiamo in silenzio, perché abbiamo paura di perdere anche un misero stipendio, uccidiamo un pezzo della nostra dignità. Siamo manovrati come vecchi burattini, tenuti dritti da un filo pronto a strozzarci se non continuiamo a recitare bene sul palco di una vita di cartone; siamo Arlecchino, destinato a prendere bastonate, perché ci hanno convinto che siamo solo capaci di combinare marachelle. Ci accusano di essere “Bamboccioni” senza progetti, senza speranze, senza idee, senza coraggio. Ma una nazione che stenta a riformare il mondo del lavoro, che ingarbuglia le nostre idee in una coperta burocratica asfissiante, che fa di tutto per non far realizzare velocemente e a basso costo un progetto, uccide un giovane, uccide una mente, un pensiero, un sogno.
Sì, ci hanno rubato tutti i nostri sogni ed ora cerchiamo di andare avanti a forza di spintoni, irrigidendo i muscoli e l’anima per farci coraggio, credendo di poter ancora lottare e strappare al destino il nostro pezzo di felicità.

Scarpette di cristallo o rosse come la violenza?

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Una scarpetta di cristallo. Una scarpetta di cristallo abbandonata sulla lunga scalinata di marmo del sontuoso castello di un sontuoso principe in un sontuoso regno. Una scarpetta di cristallo simbolo di un sogno di felicità coniugale necessaria alla realizzazione esistenziale di una giovane donna ricoperta di stracci liberata, dal suo aitante principe.

Siamo abituate a sognare di perdere quella scarpetta allo scoccare della mezzanotte, siamo abituate a far scivolare via quella scarpetta volontariamente, perché così potremo aspettare con ansia il principe che il giorno dopo sicuramente ci ritroverà. La scarpetta di cristallo calzerà perfettamente e noi saremo felici, felici di essere rinchiuse in un castello, felici di diventare come il cristallo, abituato solo a riflettere la luce che appartiene ad un altro sole.

Ci raccontano queste favole per tenerci buone da bambine.

Ho letto la notizia delle due donne decapitate in Siria perché accusate di stregoneria e ho pensato subito che le loro scarpette non potevano essere di cristallo. Cosa avranno mai provato mentre la lama tenuta da una mano maschile affondava nella loro carne? Quali pensieri avranno mai fatto mentre le loro teste ancorate ad un’intelligenza universale venivano tagliate via?

Nessuna scarpetta di cristallo, nessun sogno di cristallo, nessun pensiero, nessun amico, nessun rumore.

Le scarpette di cristallo appartengono alle belle favole dove le principesse vengono impalmate e non decapitate. Le nostre scarpe sono rosse, sporcate dal nostro sangue che continua a scorrere. Diventano sempre più rosse ogni volta che violentano la nostra anima e il nostro sesso, ogni volta che una delle nostre teste cade rumorosamente a terra, ogni volta che ci regalano un seggio o una carica pubblica alzando il tono esultante della loro voce da uomini mentre festeggiano i nostri successi. Le scarpette continueranno ad essere rosse finché il nostro piacere sarà cucito alla nostra carne, finché gli uomini faranno cadere le nostre teste e ci accuseranno di stregoneria, finché la nostra politica parlerà di quote rose che hanno il sapore di uno zuccherino che premia la buona condotta.

Per danzare abbiamo bisogno di scarpette, scarpette rosse come la forza vitale, non come il sangue!

‪#‎PrimoMaggio‬‪

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claudio-piccol

‪#‎sullerivediitaca‬

vorrei che le donne non si trovassero mai a scegliere tra un figlio e un lavoro

vorrei che il lavoro delle nostre braccia e delle nostre menti fosse annodato allo scorrere sanguigno dei sogni

vorrei che le notti passate sui libri servissero davvero a qualcosa

vorrei che fossimo felici del nostro lavoro e non “accontentati” perché poteva essere peggio

vorrei che la nostra costituzione fosse reale e non un pezzo di carta ammorbata di utopie

Un libro “dedicato da una donna per tutte le donne”

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Gustav Klimt  Le tre età della donna 1905 Galleria Nazionale di Arte Moderna Roma

Gustav Klimt
Le tre età della donna
1905
Galleria Nazionale di Arte Moderna
Roma

“Avrai tante cose da intraprendere se nascerai donna. Per incominciare, avrai da batterti per sostenere che se Dio esistesse potrebbe anche esser una vecchia con i capelli bianchi o una bella ragazza. Poi avrai da batterti per spiegare che il peccato non nacque il giorno in cui Eva colse la mela: quel giorno nacque una splendida virtù chiamata disubbidienza. Infine avrai da batterti per dimostrare che dentro il tuo corpo liscio e rotondo c’è un’intelligenza che chiede di essere ascoltata”

Comincia dalle parole di Oriana Fallaci, tratte da Lettera a un bambino mai nato, il mio post di oggi dedicato alle donne. Comincia con le parole di un capolavoro che ogni essere umano dovrebbe leggere. Questo libro, pubblicato nel 1977, periodo in cui l’Italia era coinvolta nel difficile dibattito socio-politico sulla legalizzazione dell’aborto, affronta con coraggio una rosa di problematiche legate alla difficoltà di essere donna e al diritto di scegliere di diventare madre. Il personaggio creato dalla Fallaci risponde in modo magistrale al tema trattato, ricoprendo il ruolo di una donna coinvolta nella lotta quotidiana per l’affermazione della sua emancipazione in una società tenacemente maschilista, nella quale il ruolo della donna è subordinato alla legge biologica di conservazione della specie.
La narrazione degli eventi che seguono l’evoluzione dell’ovulo fecondato sembrano essere urlati da una madre stufa della disuguaglianza sessuale subita in ogni sfera di azione. La Fallaci ci scaraventa addosso una serie di interrogativi spietati che ci lasciano vagare alla deriva, rovesciando i pilastri delle nostre certezze. La parola è aspra, ma proprio per questo si denuda in un incantevole ritmo poetico.
La Fallaci urla e lo fa da donna ferita, da spirito libero, pensante e androgino.

L’ingannevole favola dell’essere donna

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Frida Kahlo Le due Frida (1939) Museo de Arte Moderna Città del Messico

Frida Kahlo
Le due Frida
(1939)
Museo de Arte Moderna
Città del Messico

Cominciamo ad ascoltare le favole dai nostri primi giorni di vita. Esse ci cullano, accompagnandoci in mondi paralleli fatti di zuccherose fantasie colorate. Il nostro microcosmo di emozioni comincia a vibrare e impariamo a conoscere la stranezza del genere umano, che irruento comincia a turbinare nelle nostre piccole menti. Proprio attraverso le favole ci viene proposto il modello stereotipato della bella principessa, il più delle volte caduta in disgrazia, che attende con la folta treccia al vento il suo dolce, muscoloso, stupido principe azzurro. Così ci abituiamo all’idea di dover essere salvate perché fragili e stupide, rinchiuse in un castello, nell’alto di una torre inespugnabile, senza pensieri e senza coraggio.
Ma le donne sono davvero questo?
Oriana Fallaci, Alda Merini, Virginia Woolf, Frida Kahlo, J.K. Rowling sono delle stupide marionette vestite di raso, fasciate in corpetti massacranti, tenute in piedi su improbabili scarpette rosse? O sono donne che hanno in qualche modo attraversato l’oceano dell’incomprensione e del coraggio per affermare il loro essere, imponendosi semplicemente come menti capaci di pensare?
Giochiamo a credere che la donna sia riuscita ad affermare la sua parità di genere, ma ogni giorno mi scorrono davanti agli occhi decine di donne che lottano ancora con la loro massacrante quotidianità. Sono corpi che si dividono tra il lavoro, i figli, la casa, il marito e una società ancora maschilista che ti impone di dover rinunciare a qualcosa, perché una donna non può fare tutto.
Allora la politica parla ancora di quote rosa e imprenditoria femminile, la letteratura di poesia femminile, di romanzo femminile e di pensiero femminile. Ancora ci rinchiudono nella nostra gabbia uterina, ancora siamo diverse perché donne. Ancora dobbiamo lottare il doppio di un uomo per poter avere un seggio in parlamento, un posto da dirigente, un angolo in una navicella spaziale.
Quanto vorrei cancellare quell’inutile aggettivo che ci affibbiano, perché ogni volta che viene fatto e noi accettiamo che questo avvenga, veniamo ingannate,colpite, ferite, massacrate.
La parità sarà raggiunta quando non ci saranno più feste da celebrare, quando la mimosa sarà soltanto un fiore che annuncia la primavera, quando smetteremo di fare notizia straordinaria, quando una donna diventerà presidente della repubblica e i giornali non dedicheranno interminabili prime pagine al suo utero, ma semplicemente al suo percorso politico.