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La signora dalle scarpe di tela

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scarpe 1

La sera arriva deforme e puntuale lungo i profili dei quartieri popolari, una serie monocromatica di vecchie scatole dimenticate, accatastate lungo l’orizzonte della città lontana.

Nelle cucine costruite una sull’altra come lego sbiaditi si friggono cibi e sogni surgelati e i muri, poco spessi, trattengono a fatica le urla di stanchezza e di paura. Rifugi umani di cemento dall’alito cattivo che puzza di fogna e solitudine, ragnatele di vite e di stanze che faticosamente si tengono insieme, contro il susseguirsi monotono delle stagioni, dove il tempo sembra non avere sapore.

I quartieri popolari di sera profumano di pietanze riscaldate e di bisogno d’amore.

E mentre il giorno si lascia cadere da qualche altra parte, al di là delle luci stropicciate della città a volte troppo rumorosa e lontana, la signora con le scarpe di tela bianca appare.

Come un fulgore improvviso, mentre la luce dell’illuminazione pubblica prova ad azzannare le strade ormai deserte, la sua chioma, un tempo forse dorata, emerge dal buio melmoso dei condomini ammorbati di umidità e stenti.

Indossa scarpe di tela bianca. Avanza spedita nella luce fioca dei lampioni, trascinando la sua ombra intagliata dal tempo che profuma di sapone di marsiglia e di ricordi. Piccola, curvata ed elegante, ondeggia come la musica ovattata di un carillon e i tessuti delle sue gonne si gonfiano e sembrano respirare, come giovani e colorate promesse.

Indossa scarpe di tela bianca, tocco stonato di contemporaneità che stride con le lunghe gonne fiorate e le giacchette di lana ricamate con preziosi intagli di pizzo. Porta appuntati sul cuore una spilla colorata ed un sorriso elegante. I capelli spazzolati con cura e ondulati secondo la moda degli anni della sua giovinezza, tenuti insieme da uno spruzzo veloce di lacca. Li pettina con cura e quando si lascia consolare dal calore della sua casa li arriccia con bigodini colorati che tiene in piega sotto una retina colorata.

Ogni sera alla stessa ora si concede una passeggiata. Il segreto di quell’appuntamento è nascosto da qualche parte, nel drappeggio delicato della sua pelle, nello spessore dolce delle rughe, nei bagliori silenziosi di quella spilla.

Forse è stato un regalo, un regalo prezioso che qualcuno ha lasciato cadere nelle sue mani giovani, prima che l’artrite e il lavoro nei campi le stropicciassero, prima che il tempo le confondesse i ricordi e i passi, lungo quella strada un po’ aggrovigliata che è stata la sua vita. Ma ogni sera, bellissima nei suoi vestiti colorati e antiquati, continua a cercare un equilibrio elegante, con i piedi fasciati nelle scarpe di tela bianche e con la sua spilla che brilla nel buio di una periferia dimenticata, dove la bellezza troppo spesso gioca a nascondersi.

Avanza elegante e sola. Forse le avranno consigliato di fare quattro passi per conciliare il sonno o per aiutare il suo cuore, cardiopatico e stanco. Forse cammina per aspettare la luna o un soffio di vento, forse spera di incontrare qualcuno o si consola per averlo visto partire.

I suoi occhi guardano lontano, oltre l’asfalto rattoppato e le facciate scrostate dei palazzoni di cemento.

E mentre qualcuno corre con la musica sparata nelle orecchie, mentre una donna rientra carica di spesa e figli, mentre una finestra si chiude per strappare un pezzo di silenzio, lei cammina.

Passo dopo passo, una spilla e un sorriso appuntati sul cuore e le sue scarpe di tela bianche.

…momenti di estasi…

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lumache

Ci sono istanti che racchiudono attimi inattesi di felicità…

Basta fermarsi un momento, ascoltare il respiro della natura, rincorrere un bagliore di luce, per essere sorpresi dalla poesia della campagna e dall’amore che in essa palpita. Per accorgersi della magia cangiante della luce, del battito costante della vita, nascosta tra i fili d’erba bagnati di rugiada, tra le fronde degli alberi che cercano di stendere le loro braccia
cariche di frutti, soltanto forse, per solleticare il cielo…
Ed è proprio in mezzo alla natura che ti accorgi di essere piccolo, una particella del tutto, un microcosmo di emozioni fragile e incompleto, una sola pennellate del divino progetto di un artista folle e innamorato. Eppure ti accorgi di essere leggero, di essere sereno e di
avvicinarti per un solo, eterno momento all’idea del paradiso….

Ricami D’Inchiostro recensisce La vita in Generale di Tito Faraci

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1434797706_11406222_974490389236283_2944028882444042569_o– Una città vorace, incomprensibile, affaristica: Milano
– un esercito forte e invisibile di anime dimenticate
– un capo con una lunga storia alle spalle: il Generale
sono questi gli ingredienti reattivi di La vita in generale, una bella favola moderna creata dalla penna di Tito Faraci e pubblicata per Feltrinelli.
Romanzo spietato e poetico che intreccia nella sua trama il destino di un gruppo di barboni, capitanati dal Generale, alla storia di Rita, giovane imprenditrice sull’orlo del fallimento. L’autore ci accompagna sui bordi di una realtà parallela, dove la vita si vive oltre il limite del visibile, dove gli equilibri sono instabili e il cibo una conquista quotidiana. Tutto sembra consumarsi al di là di una fragile pellicola trasparente che esclude e allontana, proteggendo gli occhi di chi non ha toccato il fondo dell’inferno, di chi non può capire, perché come dice il Generale:

“Per rinascere, bisogna prima morire. E io sono stato un uomo morto. So cosa significa perdere una vita”

Sono proprio queste parole che racchiudono l’incanto della storia, che ci fa attraversare con elegante maestria la vita di Mario Castelli, imprenditore di successo e protagonista di questa discesa agli inferi durante la quale ha perso persino la sua identità, diventando per tutti Il Generale. La favola scorre pagina dopo pagina: le principesse sono donne fasciate di stracci raccolti per strada; le streghe sono i grandi palazzoni di cemento che risplendono attraverso incantesimi mossi dal denaro e gli eroi sono squattrinati barboni. Ed è proprio grazie ai loro occhi che la realtà si deforma, si scompone, riacquistando le sembianze mostruose di un’entità mossa esclusivamente dal denaro, che maciulla e distrugge le vite di ognuno di noi, incatenandoci ad una dipendenza che ci rende schiavi.
Ma proprio come una favola l’eroe alla fine vince la sua battaglia e ci regala il suo trionfo, insegnandoci che l’amicizia e la lealtà rappresentano la nostra vera ricchezza.
Assolutamente da leggere!!!

Scarpette di cristallo o rosse come la violenza?

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SAMSUNG TECHWIN DIGIMAX-340

Una scarpetta di cristallo. Una scarpetta di cristallo abbandonata sulla lunga scalinata di marmo del sontuoso castello di un sontuoso principe in un sontuoso regno. Una scarpetta di cristallo simbolo di un sogno di felicità coniugale necessaria alla realizzazione esistenziale di una giovane donna ricoperta di stracci liberata, dal suo aitante principe.

Siamo abituate a sognare di perdere quella scarpetta allo scoccare della mezzanotte, siamo abituate a far scivolare via quella scarpetta volontariamente, perché così potremo aspettare con ansia il principe che il giorno dopo sicuramente ci ritroverà. La scarpetta di cristallo calzerà perfettamente e noi saremo felici, felici di essere rinchiuse in un castello, felici di diventare come il cristallo, abituato solo a riflettere la luce che appartiene ad un altro sole.

Ci raccontano queste favole per tenerci buone da bambine.

Ho letto la notizia delle due donne decapitate in Siria perché accusate di stregoneria e ho pensato subito che le loro scarpette non potevano essere di cristallo. Cosa avranno mai provato mentre la lama tenuta da una mano maschile affondava nella loro carne? Quali pensieri avranno mai fatto mentre le loro teste ancorate ad un’intelligenza universale venivano tagliate via?

Nessuna scarpetta di cristallo, nessun sogno di cristallo, nessun pensiero, nessun amico, nessun rumore.

Le scarpette di cristallo appartengono alle belle favole dove le principesse vengono impalmate e non decapitate. Le nostre scarpe sono rosse, sporcate dal nostro sangue che continua a scorrere. Diventano sempre più rosse ogni volta che violentano la nostra anima e il nostro sesso, ogni volta che una delle nostre teste cade rumorosamente a terra, ogni volta che ci regalano un seggio o una carica pubblica alzando il tono esultante della loro voce da uomini mentre festeggiano i nostri successi. Le scarpette continueranno ad essere rosse finché il nostro piacere sarà cucito alla nostra carne, finché gli uomini faranno cadere le nostre teste e ci accuseranno di stregoneria, finché la nostra politica parlerà di quote rose che hanno il sapore di uno zuccherino che premia la buona condotta.

Per danzare abbiamo bisogno di scarpette, scarpette rosse come la forza vitale, non come il sangue!

La nostra storia comincia da qui…

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macchinaEra un giorno di settembre ammorbato di tristezza, un giorno come tanti, quando l’estate piano sfuma verso l’orizzonte perdendosi nelle sue sfumature di caldo e colori. Era un giorno pieno di ricordi, di immagini lontane e di paure. Era un giorno in cui l’amore aveva tradito se stesso ed era fuggito lontano, aveva lasciato, vigliacco, che io mi arrendessi senza lottare. Mi aveva vinto, frantumandomi.lancio
In quel giorno, immersa nel silenzio solitario della mia stanza, è nata Penelope, annodata al cordone ombelicale della sua storia.
L’avevo vista passeggiare dinanzi ai miei occhi, l’avevo coccolata, aspettata, a volte anche ripudiata, ma lei era sempre tornata a fiorire nei miei pensieri, idea sulfurea di poesia. Non era stato facile scrivere altre storie, creare altri mondi e poi distruggerli, ma Penelope era forte e continuava a sfidarmi, come un guerriero pronto ad affondare la sua lancia contro il nemico, guardandolo negli occhi. Sì, mi guardava negli occhi la mia Penelope e la sua storia profumava di cicatrici e coraggio, la sua storia aveva il sapore della terra e i colori dei tramonti, la sua storia doveva essere raccontata.
Eravamo due anime alla ricerca di serenità; ci siamo incontrate e sfidate come correnti e alla fine ci siamo inseminate e partorite a vicenda, creando Nel Profumo dei Gigli.
Una storia di donne, cicatrici e colori; per voi dal 4 Giugno, Lupo Editore.

Attimi…

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Jeremy Lipking - Tutt'Art@ (15)

Sulle rive di Itaca il tempo si prende gioco di me.
Cerco di rendere leggeri i miei sogni, ma la realtà li sgualcisce, trasformandoli in leggeri fogli di zucchero vulnerabili come la vita che cerca di generarsi e a volte annega in una possibilità sprecata.

Sulle rive di Itaca cerco di ritrovare me stessa e il gomitolo del mio passato.
Come una tessitrice accarezzo le trame di organza, creo ricami e mi perdo nelle cicatrici del tessuto.

Le cicatrici… le conosco da sempre, impresse nelle pieghe del cuore e nelle ombre della pelle.

P. M.

Sulle Rive di Itaca una donna scruta l’orizzonte…

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penny

Dentro di me si confondono destini, parole, sentimenti.

Dentro di me bruciano i colori di un lontano passato

e i volti della mia infanzia si confondono

come ombre di un intricato orizzonte.

I miei piedi ascoltano il canto di questa terra

selvaggia, arida, calcarea…

e aspetto.

Perché nel mio nome

è nascosta l’attesa

Chiedetevi chi sono e cominciate ad attendermi!

E’ arrivata, in un giorno di primavera…

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October Sky Jeremy Lipking

October Sky
Jeremy Lipking

Eccomi qui.

Sono stata concepita da una folle ossessione carnale, partorita da un sogno oppiaceo in un giorno cupo di tristezza, quando le membra stanche della mia genitrice cercavano conforto.

Eccomi qui:

donna,

camaleonte,

crisalide.

Immagine riflessa di un mondo interiore ammorbato da fantasmi carnivori, ostaggio segreto di una follia inarrestabile, balsamo profumato di favole e racconti lontani masticati dalla mia anima.

Eccomi.

Cominciate a chiedervi chi sono…

L’ingannevole favola dell’essere donna

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Frida Kahlo Le due Frida (1939) Museo de Arte Moderna Città del Messico

Frida Kahlo
Le due Frida
(1939)
Museo de Arte Moderna
Città del Messico

Cominciamo ad ascoltare le favole dai nostri primi giorni di vita. Esse ci cullano, accompagnandoci in mondi paralleli fatti di zuccherose fantasie colorate. Il nostro microcosmo di emozioni comincia a vibrare e impariamo a conoscere la stranezza del genere umano, che irruento comincia a turbinare nelle nostre piccole menti. Proprio attraverso le favole ci viene proposto il modello stereotipato della bella principessa, il più delle volte caduta in disgrazia, che attende con la folta treccia al vento il suo dolce, muscoloso, stupido principe azzurro. Così ci abituiamo all’idea di dover essere salvate perché fragili e stupide, rinchiuse in un castello, nell’alto di una torre inespugnabile, senza pensieri e senza coraggio.
Ma le donne sono davvero questo?
Oriana Fallaci, Alda Merini, Virginia Woolf, Frida Kahlo, J.K. Rowling sono delle stupide marionette vestite di raso, fasciate in corpetti massacranti, tenute in piedi su improbabili scarpette rosse? O sono donne che hanno in qualche modo attraversato l’oceano dell’incomprensione e del coraggio per affermare il loro essere, imponendosi semplicemente come menti capaci di pensare?
Giochiamo a credere che la donna sia riuscita ad affermare la sua parità di genere, ma ogni giorno mi scorrono davanti agli occhi decine di donne che lottano ancora con la loro massacrante quotidianità. Sono corpi che si dividono tra il lavoro, i figli, la casa, il marito e una società ancora maschilista che ti impone di dover rinunciare a qualcosa, perché una donna non può fare tutto.
Allora la politica parla ancora di quote rosa e imprenditoria femminile, la letteratura di poesia femminile, di romanzo femminile e di pensiero femminile. Ancora ci rinchiudono nella nostra gabbia uterina, ancora siamo diverse perché donne. Ancora dobbiamo lottare il doppio di un uomo per poter avere un seggio in parlamento, un posto da dirigente, un angolo in una navicella spaziale.
Quanto vorrei cancellare quell’inutile aggettivo che ci affibbiano, perché ogni volta che viene fatto e noi accettiamo che questo avvenga, veniamo ingannate,colpite, ferite, massacrate.
La parità sarà raggiunta quando non ci saranno più feste da celebrare, quando la mimosa sarà soltanto un fiore che annuncia la primavera, quando smetteremo di fare notizia straordinaria, quando una donna diventerà presidente della repubblica e i giornali non dedicheranno interminabili prime pagine al suo utero, ma semplicemente al suo percorso politico.